martedì 16 gennaio 2018

Antonella Cilento per A spasso con Eva: "Assai raccomandata la lettura di ' Giù le mani dal Vesuvio', antidoto all'ipocrisia del potere"






Michele Serio è di certo lo scrittore più laico, anzi il più allegramente pagano che Napoli conosca: il suo nuovo romanzo, “Giù le mani dal Vesuvio”, edito da Centoautori (pp.363, euro 15), è un gigantesco esorcismo contro il male effettuato secondo il metodo apotropaico che gli antichi praticavano distribuendo forme falliche lungo strade e trivi, all’ingresso delle case, adornandole porte con gli esagerati tintinnabula che oggi ammiriamo nel Museo Archeologico di Napoli. Le pagine di Serio sono infatti sfacciatamente erotiche, infiorettate di inni al cibo e alla vita e, pur raccontando il male e mostrandolo nel suo packaging odierno, squallido, rapido, ipocrita, rilasciano il lettore alla sua vita carico di amuleti portafortuna. Di cosa narra “Giù le mani dal Vesuvio”? Apparentemente l’ennesima indagine di questo tempo, ammorbato da investigazioni e commissari che non scoprono più nulla (poiché con Sciascia e Dürrenmatt per un bel po’ la questione è stata chiusa a livelli iperurani), che è però un’inventiva scusa per mostrare in commedia amara o surreale imprenditori, terroristi, politici, poliziotti e gente comune. Il protagonista, Gennaro Scognamiglio detto Genny, già eroe del precedente “San Gennaro Made in China”, studente “schiuvato” e balbuziente, generoso ma pragmatico, mentre vive la sua pigra esistenza di sfaccendato è nuovamente coinvolto da Andrea Segovia, procuratore Generale alla Corte di Napoli, in qualità di infiltrato: chi sono i responsabili dei numerosi omicidi che lasciano in giro per Napoli cadaveri cui è stato tolto il cuore? Genny è recalcitrante ad accettare ma gli aiutanti del Procuratore, che da eroe del povero Scognamiglio in breve si trasforma in “blatta”, lo costringono ad entrare nell’avventura: tanto per cominciare Genny risulterà partito per Bruxelles, coronando il sogno di sua madre che lo immagina finalmente premiato per i molti anni di studio e avviato a una carriera importante, e invece prenderà alloggio in città presso l’improbabile Hotel Chiapas; quindi verrà assoldato come venditore immobiliare, iniziato a sotterranee orge, incontrerà, facendogli da mediatore per un’agognata prestazione sessuale, l’imam che addestra i terroristi pronti a insanguinare Napoli. Sull’infittirsi della trama e sulla genialità dadaista di Genny Scognamiglio investigatore non diremo oltre per non togliere gusto ai lettori, ma vale la pena soffermarsi sulle delizie descrittive che Serio ricama per presentare i numerosi personaggi secondari del romanzo, dalla disponibile e procace barista Yulia all’imam che, quando non allena martiri, se la spassa fra la bisca di Pozzuoli, alici fritte e impepata di cozze a Marechiaro, i cornetti a Frattaminore e l’alba a Capo Miseno; dal faccendiere Ninni Strummolo al suo aiutante laureato, Franco, in bolletta e con fidanzata incinta; dal malvagio cinese capo della malavita ai poliziotti al soldo di Segovia. La parodia avanza a passo di marcia nelle pagine tutte una svolta di Serio, chiaramente una presa in giro dei generi cine-letterari, in cui anche la palese critica ai vizi contemporanei della globalizzazione non assume mai tono moralistico ma è solo una festosa e rapida giostra da cui nessuno scende, né i napoletani ritratti in rapide pennellate mentre sono alieni grigi affacciati ai loro balconi, né gli Anepeta (i nomi sono sempre notevoli) costruttori di ecomostri nei Campi Flegrei. Tutti sono colpevoli e Genny Scognamiglio ha solo lo straordinario talento di fare soldi senza che gli importi affatto (poiché la vita è altrove: donne, bagni in mare, babà) e di portare sempre miracolosamente in salvo la pelle. Bisognerà un giorno dedicarsi agli allievi di Giambattista Basile nell’odierno panorama della letteratura napoletana (Genny lo ha letto, insieme a un po’ di Pirandello, si dice nel libro): dalla straordinaria e primaria lezione del maestro Giuseppe Montesano, alle versioni metropolitane di Peppe Lanzetta, all’infiammato immaginario epicureo di Michele Serio, troppo politicamente scorretto, pare, per i grandi editori nazionali, forse perché tratta cinesi, arabi e intrallazzatori locali alla stessa stregua. E non lo sanno gli editori nazionali che a Napoli così è sempre stato, poiché con arabi, ebrei, levantini e magrebini la città si è mescolata felicemente per millenni senza alcun pregiudizio (basta guardarsi allo specchio, il DNA non mente) e lo ha fatto sin sin dai tempi di Petronio Arbitro, che è di certo l’altro santo letterario di Michele Serio? Assai raccomandata la lettura di “Giù le mani dal Vesuvio”, antidoto agli attentati, alle leggi e ai comunicati che diffondono panico, all’ipocrisia del potere: si ricordi ai lettori, del resto, che epicurei e lussuriosi se la cavano con il sesto e il secondo cerchio, mentre i seminatori di discordia abitano la nona bolgia dantesca…



Antonella Cilento 











Giornalista e scrittrice italiana finalista al Premio Strega 2014. Scrive e insegna scrittura creativa da più di vent’anni. Ha fondato nel 1993 a Napoli il laboratorio di scrittura creativa Lalineascrittae tiene corsi in tutta Italia.











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